
Un largo abito a fiori, inconfondibili capelli rossi, un placido sorriso accogliente. Sarah Jane Morris al fianco di Tony Remy ha invaso di polline inebriante il teatro “Il Piccolo” in occasione della sua apertura a nuove destinazioni culturali di livello, in un progetto tanto atteso dalla città di Jesi.
Due fonti generose di vero spettacolo, due messaggeri di echi tormentati, capaci di quella potenza ammaliante di condivisione che è esclusiva dei grandi, che fanno uso dell’arte per una decisa controinformazione. Solo artisti di questo calibro hanno gli strumenti per estrarre dal sottosuolo gli atti umani più putridi che suppurano in ferite silenziose, soffocanti, nascoste dietro il senso intimo della vergogna. Dai primi minuti di note e racconti “Il Piccolo” si è trasformato in un bosco di canti e richiami all’amore. In difesa dei diritti umani, frustati ai fianchi con scudisci sferzanti da ogni meandro, la Morris e Remy, molte volte coautori dei brani presentati a Jesi, hanno cosparso il teatro di brividi di partecipazione a tratti commossa, a tratti combattiva. Il riverbero penetrante dalle corde di voce e chitarra ha composto un messaggio di riscatto. Si è parlato di libertà, di educazione, di approvazione. Si è parlato di rivoluzione come risposta agli eccessi di una violenza moltiplicata per forme e luoghi. Si è cantato in onore di “David Kato” e in sua memoria, contro la paura con cui l’uomo si difende da realtà che non conosce e quindi annienta invece di tentare di comprenderle. Si è intonato un inno contro la politica brutale dei governi, missionari di distruzione in “Bloody Rain”. In difesa e per amore: questi i contenuti di ogni pezzo in un dialogo assiduo, ampio e diffuso con il mondo per portare alla luce storie grandi e piccole e la storia privata della famiglia Morris perché non esonerata dal dolore nemmeno questa. Ma la distanza dal male e il ricordo materno salvifico lasciano scoperto e spontaneo il desiderio di tornare a casa, in “Wild Flowers” un brano strepitoso.
L’album di Sarah Jane Morris è musica al servizio del dolore, contrastato in nome di una riscossa internazionale e calpestato al ritmo di danze tribali in impunture jazz, soul, blues e R&B e in punta di piedi sulle tavole di legno di un Piccolo teatro. Una musica che vuole essere voce maestra sulla strada dei destini umani.